Chesterton, I racconti di padre Brown

Pubblicato su Libertà di educazione, n.2/3 [1999/2000], pp. 136-140. Il testo, parzialmente rimaneggiato, è disponibile anche su Cara beltà.

Chesterton sarà probabilmente noto a molti nostri lettori, essendo uno dei massimi scrittori cattolici anglosassoni contemporanei. Un pregio che lo segnala nell'ambito della letteratura cattolica, è quello di essere riuscito a dare della Weltanschaung cristiana un'immagine ilare, di una ironia benevola ma non irenistica, ed essenzialmente seria. Diciamo ciò non certo per deprezzare altri scrittori cattolici, come un Bloy o un Bernanos, nel mondo dei cui romanzi aleggia una tensione più implacabile, che sembra non potersi mai sciogliere in un sorriso, e a cui va riconosciuta una insostituibile funzione. Semplicemente, dentro la grande sinfonia della Provvidenza a Chesterton è toccato suonare uno spartito di altro genere.


1)Il metodo. In effetti l'arma con la quale egli affronta la sua battaglia, che è poi una appassionata apologetica del Cristianesimo cattolico, non è una astiosa polemica, una affannata biliosità, ma è soprattutto l'ironia. Un'ironia, che può sembrare fuori posto, laddove essa viene a giudicare, come nella sua opera forse maggiore, i Racconti di Padre Brown, una realtà tramata da fatti delittuosi, per lo più omicidi; ma essa non significa disimpegno. Forse in essa c'è un po' del temperamento dell'autore, sanguigno e positivo; più ancora però, molto di più, noi vi vediamo la fede di un cristiano, che sa che tutto è stato redento, e vi vediamo anche la misericordia tipicamente cattolica, che sa guardare (per dirla con il curato di Torcy, creatura di Bernanos) il male con collo taurino, senza sentirsene soffocare come certo rigorismo protestante, che volge sdegnato la faccia altrove. Lo sa guardare negli occhi con calma, perché sente in sé la forza per affrontarlo, per vincerlo. Se insomma Chesterton sembra non dare troppa importanza al male che combatte, se sembra non prenderlo troppo sul serio, non è perché non creda che di male, e anche grave, si tratti, ma perché crede che ci sia, operante e forte ad affrontarlo, un Bene incommensurabilmente più grande. Così i personaggi che si danno al male, al crimine, appaiono piccoli, meschini, miseri, al limite del grottesco. Nei loro confronti l'ironia di Chesterton è talora sferzante, mai sarcastica, acida.

L'ironia di Chesterton dunque come risposta alla menzogna, di cui si nutre il mondo, quel mondo che nega Gesù Cristo, sia in nome del materialismo, sia in nome di una qualche forma di deviazione religiosa, dal buddismo, all'islam (particolarmente bersagliato in un’altra sua opera, L'osteria volante), alle sette fanatiche di cui già allora andava popolandosi la società occidentale. La menzogna assume spesso, in Chesterton, i tratti dell'ipocrisia, ed è perciò che l'ironia si configura come la risposta più appropriata: perché ipocrisia implica malafede, una certa componente di malafede almeno, ciò che precisamente l'ironia suppone e va a colpire.


2) L'umano come criterio. La sua ironia non va infatti a colpire come dall'esterno una realtà totalmente estranea. È interessante quanto lo stesso personaggio di p.Brown rivela come proprio segreto (Il segreto di p.Brown, Il segreto di p.Brown): mentre altri celebri investigatori, da Sherlock Holmes a Maigret, si basano essenzialmente su uno studio degli indizi materiali, esaminando il delitto dall'esterno, ciò che permette al piccolo prete di giungere alla verità, dipanando le matasse più ingarbugliate dei delitti che si trova ad affrontare, è lavorare sul movente, immedesimandosi col criminale, ponendosi nei suoi panni. Esattamente il contrario dell'ipocrisia, di un atteggiamento farisaico:

"Nessun l'uomo può essere veramente buono finché non conosce la sua malvagità, o quella che potrebbe avere; finché non abbia esattamente compreso quanto poco abbia diritto di esprimere tutti quei giudizi e questo disprezzo e di parlare di "criminali" come se fossero scimmie di una foresta lontana mille miglia; (...) finché egli non ha spremuto dalla sua anima l'ultima goccia dell'olio dei farisei." (I racconti di p.Brown, Paoline 1966, 805/6)

È più adeguato procedere così. Consente di giungere alla verità dei casi che p. Brown affronta. Ma tale adeguata razionalità è sostenuta e resa possibile dalla fede: solo un cristiano ha il coraggio di guardare ciò vi è nel proprio cuore di uomo, perché solo il cristiano sa che non esiste male che Cristo, rivelazione di una Misericordia senza misura, non possa redimere. Il metodo del piccolo prete investigatore è dunque quello di discendere nel fondo della propria umanità, per scoprirvi ciò che davvero è universale nell'uomo, nel bene e nel male. Ciò implica un oltrepassamento della ovvietà più naturalistica e immediata: bisogna andare al di là della illusione di essere buoni, della illusione che ad essere cattivi siano sempre e solo “altri”, ben lontani e ben diversi da sè. Il criminale invece per p. Brown non è poi così diverso da noi (“non è difficile essere come loro”), il criminale è dentro di lui, perché è dentro ogni uomo: p.Brown lo sa, e non se ne scandalizza, avendo nella fede la chiave interpretativa, pacificante, di tutto.

Sbagliano quegli scienziati che "considerano l'uomo dall'esterno e lo studiano come fosse un insetto. (...) Quando uno scienziato parla di un "tipo" egli non intende mai se stesso, ma sempre il suo prossimo, e probabilmente il suo prossimo più povero." (Op.cit., p.804)

Invece "Io non cerco di guardare l'uomo dall'esterno, cerco di penetrare nell'interno dell'assassino... Anzi, molto di più, non le pare? Io sono dentro un uomo. (...) aspetto di essere dentro un assassino (...) finché penso i suoi stessi pensieri, e lotto con le sue stesse passioni, (...) finché vedo il mondo con i suoi stessi biechi occhi (...). Finché anch'io divento veramente un assassino." (Op.cit., 805)

"Sono un uomo -rispose p.Brown, gravemente- e perciò ho il cuore pieno di diavoli" (L'innocenza di p.Brown, "Il martello di Dio", p.227)



3) L'umanità del Cristianesimo. L'intento fondamentale di Chesterton è, abbiamo detto, apologetico, ed egli lo persegue soprattutto come polemica pars destruens, mostrando gli effetti anti-umani della negazione del Cristianesimo. Nei racconti di p. Brown emerge come tale negazione sia qualcosa di decisamente serio: suo frutto è il delitto, l’omicidio.

D’altra parte non é assente il risvolto positivo, la presentazione della vita cristiana come pienezza dell’umano. Quest'ultimo aspetto è presente come in filigrana, in una modalità discreta e indiretta, nella figura di p.Brown. Il mite presbitero cattolico, di apparenza insignificante, se non sciatta, non è certo un eroe dal gesto sicuro e imperioso, non un parlatore brillante e raffinato, niente ha insomma di straordinario, niente di quelle eclatanti qualità che il "mondo" tanto ammira: è un uomo, semplicemente un uomo. Che cosa significa? Il dato che più ci colpisce nel personaggio di p.Brown è il suo realismo: egli sa guardare, sa osservare la realtà, come nessun altro. Mentre altri almanaccano in base a teorie aprioristiche, p.Brown osserva, aderendo al reale (certo formulando teorie anche lui, ma sempre in base ad una rispetto profondo verso l'esistente). Da notare come il piccolo prete sia spesso silenzioso e rifletta bene sul dato effettivo, laddove i suoi interlocutori si lanciano subito con sicumera in un'impetuosa cascata di ipotesi.

Oltre che realista, p.Brown è anche ragionevole. In più racconti in effetti troviamo la polemica contro la confusione tra fede (la fede cristiana) e miracolismo sensazionalistico, pseudomistico. Uno dei più belli, a nostro avviso, è "Il miracolo della mezzaluna"; in esso il miliardario Warren Wynd, efficientissimo e impegnatissimo, viene misteriosamente ucciso. P.Brown, che per primo ha avuto il sospetto del suo omicidio, rifiuta di avvallare la tesi di un evento miracoloso, e riesce poi a spiegare razionalmente l'accaduto, in base all'umano sentimento di vendetta, provato da tre poveri, umiliati dal miliardario. Il paradosso è che, mentre i razionalisti e gli scettici inclinano ben presto a credere in eventi magici, sensazionalisticamente spettacolari (nella fattispecie, che il miliardario sia letteralmente volato dal suo ufficio su un albero, violando ogni legge fisica), p.Brown si dimostra come il più razionale di tutti. Lui stesso esplicita tale paradosso, rivolgendosi ai suoi compagni di avventura atei e scettici:

"eravate dei materialisti induriti, ed era quindi naturale che foste in bilico al limite di una fede; eravate sul punto di credere a qualunque cosa. (...) Non avrete pace fino a che non crediate in qualche cosa di definitivo" (p.412)

Da questo emerge splendidamente come il Cristianesimo sia massimamente amante della realtà, della verità, al punto che non può accettare la menzogna, nemmeno se apparentemente potrebbe giovargli (come appunto nel citato racconto):

"il mentire potrà forse servire alla religione; ma sono sicuro che non serve a Dio." (p.409).

"aveva l'idea che, essendo prete, avrei creduto a qualsiasi cosa. Molte persone hanno di queste idee" (p.470).

Non è il Cristianesimo, che è fedeltà al reale, al concreto esistente, ma il diavolo, ad amare il mistero come tenebrosa e inquietante stranezza, come bizzarra e complicata fantasticheria:

"é superbo e scaltro. Gli piace essere superiore, e ama terrificare l'innocente con cose capite a metà, e far rabbrividire i bambini. Questa è la ragione per cui ha tanta passione per i misteri e le iniziazioni e le società segrete e tutte le cose del genere"(p. 409).

È un'idea che egli porta avanti anche ne "La parrucca rossa", quella del diavolo come colui che distoglie dalla realtà, facendo credere in un falso mistero, in un mistero inteso come tenebra oscura

"Io conosco il Dio sconosciuto -[disse p.Brown]- Conosco il suo nome: è Satana. Il vero Dio si fece carne e dimorò fra noi. Ed io vi dico che ovunque voi troviate uomini dominati unicamente dal mistero, questo mistero non è che iniquità. (...) Se voi credete che qualche verità sia insopportabile, sopportatela." (La saggezza di p.Brown, "La parrucca rossa", p.669)


4) La disumanità di chi nega la fede. Nei I racconti di p.Brown Chesterton polemizza contro un ampio ventaglio di atteggiamenti, con un gusto particolare però nello smascherare false ovvietà, inveterate quanto ingiustificate convinzioni diffuse, nel contraddire l'opinione dominante. C'è in Chesterton un certo gusto di contraddire, di stupire; in esso vediamo all’opera il lottatore cristiano, che sa che questo mondo è sottomesso al Principe delle Tenebre, colui che astutamente impone agli esseri umani mode, atteggiamenti e mentalità distruttivi e falsanti.

Ricordiamo alcune delle più significative battaglie che Chesterton combatte attraverso P.Brown. In uno dei primi racconti de L'innocenza di p.Brown, "Il passo strano", egli ad esempio mette alla berlina lo snobismo dei ricchi. Questi ricchi, i "Dodici veri pescatori" (notiamo quanto il nostro autore goda di poter ironizzare contro la sfacciata pretesa, tipicamente massonica, di sfruttare elementi cristiani, stravolti dal loro significato originario), sono in realtà dei poveretti dal punto di vista morale, come dimostra il loro ridicolo imbarazzo nei confronti degli esseri umani più indigenti:

"quei plutocrati moderni non potevano sopportare accanto a loro un povero, né come schiavo né come amico. (...) non volevano essere brutali, e temevano di essere benevoli."

I loro comportamenti sono pervasi di grottesco, ad esempio nell'accettare anche la scomodità purché distingua dal popolo (p. 68; viene in mente Berlicche: il piacere viene dal Nemico, l'optimum per il diavolo è asservire l'uomo senza fargli provare troppo piacere), o nel non avere uno scopo (p.69), o nella pomposa e complicata inutilità dei loro riti:

"per tradizione del circolo, gli hors d'oeuvre erano vari e complicati in modo pazzesco, e considerati molto seriamente, trattandosi di cose inutili e superflue, come l'intero pranzo e l'intero circolo." (p.78)

La loro Weltanschaung nemica della realtà autentica è ben esemplificata dal loro gusto di alterare, di contraffare la realtà delle cose naturali, come il cibo, che perde la forma nativa, datagli dal Creatore:

"la sacra portata del pesce consisteva (agli occhi del volgo) in un mostruoso pasticcio, della grandezza e della forma di un dolce nuziale, nel quale un considerevole numero di pesci aveva perduto la forma data loro da Dio." (p.80)

Ma più ancora i "Dodici veri pescatori" rivelano la loro pochezza umana con il loro fariseismo, che gli fa ignorare la possibilità della conversione del cameriere-ladro, che, dopo un colloquio col piccolo prete abbandona li la preziosa refurtiva, e decide di cambiar vita:

"Strano, vero? -disse egli (p.Brown)- che un ladro e vagabondo si penta, mentre tanti che sono ricchi e sicuri di sé rimangono duri e frivoli e senza alcun frutto per Dio e per l'uomo!" (p.86)

Non possiamo qui ripercorrere in dettaglio tutte le polemiche di Chesterton, ad esempio contro il protestantesimo, contro le religioni orientali, l'ateismo. Ci basta aver evidenziato alcuni punti, che possano, speriamo, invogliare qualcuno a leggere direttamente il testo, divertente e ricco di intelligenti suggestioni.